Ha inaugurato lo scorso giovedì la mostra “VIVIAN MAIER – ANTHOLOGY” a Palazzo Pallavicini, in centro a Bologna.
Vediamo oggi insieme cosa racchiude il percorso espositivo dedicato a una delle più grandi fotografe del Novecento.
La scoperta della sua opera – avvenuta realmente post-mortem – è sicuramente uno degli aspetti più affascinanti di questa figura storica.
Chissà cosa ci avrebbe potuto raccontare ancora Vivian Maier.
Nel frattempo lasciamo parlare i suoi scatti.

Vivian Maier viene ri-scoperta solo nel 2007.
L’avvenimento risale ad esattamente due anni prima della sua morte, avvenuta nel 2009.
Le decine di migliaia di immagini raccolte nella sua vita, mai esposte pubblicamente, regalano al mondo uno sguardo nuovo, intenso.
Intenso perché Vivian Maier riesce a far tesoro di tantissime entusiasmanti esperienze nella sua vita.
Nasce a New York, nella ‘grande mela’, nel 1926 da padre austro-ungarico e madre francese.
I genitori si separano quando Vivian è ancora piccola e da qui inizia una serie di viaggi tra America e Francia.
Dopo la separazione, la madre decide di attraversare l’Atlantico per tornare nel suo paese natale.
È qui che la Mayer comincia a scattare le sue prime fotografie, crescendo nella fattoria Beauregard, situata nelle Hautes-Alpes.
Sempre con la madre, all’età di dodici anni, torna a vivere a New York, dove deve reimparare la lingua inglese ma scopre nel frattempo lo stile di vita americano.
Il soggiorno dura fino alla fine degli anni ’40, quando la morte della nonna materna e la vendita della tenuta di famiglia spingono Vivian Maier a tornare in Francia per ricevere l’eredità.

Tutto cambia quando Vivian Maier compre la sua prima macchina fotografica.
È proprio in Francia, all’inizio degli anni ’50, che la fotografa si avvicina alla fotografia come autodidatta.
Inizia a maneggiare lo strumento fotografico, facendo le prime prove con quello che le è disponibile.
Prende come soggetto i paesaggi alpini e gli abitanti delle frazioni che circondavano il maso.
Ancora una volta, il suo soggiorno è breve: dopo un anno la proprietà viene venduta all’asta e Vivian Maier riesce a mettere da parte un po’ di denaro.
Ecco allora che con i guadagni decide di stabilirsi nuovamente a New York.
Qui inizia la sua avventura come tata, che la segnerà per sempre.
Lavorando tra New York e Chicago, riesce a garantirsi una autonomia finanziaria, autonomia che le permette anche di portare avanti la sua passione: la fotografia.
In queste due città, Vivian Maier imposta un linguaggio fotografico animato da uno sguardo curioso e aperto, allo stesso tempo innovativo, spontaneo e riflessivo.

L’America di quegli anni venne raccontata da tanti fotografi di prestigio.
È molto probabile che Vivian Maier abbia avuto la possibilità di conoscere e vedere fotografie di autori suoi coetanei.
Tanti cominciavano a costruire un racconto dell’America attraverso le immagini.
Ricordiamo tra i tanti Robert Frank, Diane Arbus, Walker Evans, Weegee (pseudonimo di Arthur Fellig) o William Eugene Smith – grandissimi nomi della fotografia.
Ognuno aveva la propria personalissima impronta visiva, negli stessi anni in cui anche Vivian Maier realizzava i suoi scatti e costruiva la sua.
La fotografa continua a collezionare giornali e riviste, frequenta musei legati al mondo delle arti visive, come il Museum of Modern Art di New York.
Tutti questi bacini d’informazione creano un clima fortunato per chiunque voglia fare dell’America una nuova narrazione.
Ognuno fa un lavoro di analisi e un utilizzo di narrazione di un’altra America, lontana dai miti di Hollywood.
Vivian Maier e tutti gli autori suoi contemporanei, ricercano la normalità della vita, fatta di limiti e contraddizioni, gioie e tragedie.

Il percorso espositivo si divide in 7 sezioni.
Infanzia, Ritratti, Forme, Foto di strada, Autoritratti, Colore e Film in Super8: sono queste le sezioni che troviamo lungo il percorso espositivo e che riassumono perfettamente l’opera dell’autrice.
Ognuna di esse parla di aspetti importanti della sua produzione:
- l’empatia con i bambini;
- il suo rapporto con soggetti come donne, anziani ed indigenti;
- la sua ossessione per l’atto stesso del fotografare;
- le fotografie più architettoniche realizzate tra New York e Chicago;
- i suoi celebri autoritratti, che le permisero di scoprire sé stessa;
- la fotografia a colori, che a partire dal 1965, la vede alle prese con un cambio tecnico.
Non mancano scatti che documentano il passaggio di personaggi famosi del cinema o della cronaca politica del suo tempo.
Troviamo Audrey Hepburn, Ava Gardner o Kirk Douglas.
A proposito di Super8, molti di questi personaggi sono ripresi proprio con la sua 8mm.

La mostra rimarrà visibile fino al 28 gennaio 2024.
È visibile dal giovedì alla domenica; per tutte le informazioni riguardo all’evento è possibile visitare il seguente link: https://www.palazzopallavicini.com/vivian-maier/
Vivian Maier ha documentato il proprio bisogno di registrare immagini in una dimensione tutta privata, contraria a quella che oggi sembra essere invece una quasi dipendenza dalla dimensione pubblica della condivisione offerta dai social.