Cosa aspettarsi dagli “Unknown Unknowns”?
Proviamo a discuterne insieme attraverso la 23ª Esposizione Internazionale, concepita come uno spazio di dibattito e confronto aperto e plurale.
Nella mostra “Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries”, ora visitabile presso gli spazi della Triennale di Milano, convergono esperienze, culture e prospettive differenti.

Rispondere a una serie di domande su ciò “non sappiamo di non sapere”.
È questo il punto di partenza di “Unknow Unknows”.
Le questioni riguardano diversi ambiti: dall’evoluzione della città agli oceani, dalla genetica all’astrofisica.
Così la Triennale ci da modo di addentarci in un’esperienza profonda, che coinvolge il lavoro di designer, architetti, artisti e ricercatori.
Arte, design e scienza s’intrecciano in una nuova pluralità di linguaggi, dandoci la possibilità di rovesciare la nostra idea di mondo.
In questo viaggio di scoperta, dobbiamo tenere bene a mente che ogni dibattito nasce da contrasti.
Così, anche in questa “Introduzione ai misteri”, si scontrano due opposti: la celebrazione dello sguardo scientifico e la consapevolezza delle sue ombre.
La vastità delle visioni che ancora si sottraggono allo sguardo umano produce in noi sentimenti assolutamente contrastanti.

“Unknow Unknows” è combinazione transdisciplinare.
Coinvolgente, ricca di riflessioni filosofiche, scientifiche e artistiche: è così facile entrare empaticamente nella splendida storia raccontata da questa mostra.
Mettere dei limiti però è fondamentale, per evitare strade e lettura banali o superficiali.
Per questo, la mostra può essere riassunta essenzialmente in tre macro-aree.
La prima si concentra sul concetto di forza di gravità, la seconda sulla colonizzazione spaziale, la terza sul sapere tecno-scientifico contemporaneo.
Ovviamente le tematiche sono presentate secondo forme d’arte ed espressive completamente diverse fra loro, e ovviamente non presentano letture didascaliche.
Al contrario, si mettono in relazione piccoli e grandi meccanismi della vita, misteri per l’appunto che riguardano il nostro essere – come essere umani viventi – ma anche i grandi ingranaggi del cosmo che ci circonda.
Il nostro sapere procede ma, nel mentre, l’universo continua ad espandersi.
Rincorriamo le immagini di milioni di anni fa, rese possibili ma altrettanto limitate dagli strumenti teorici e materiali che le hanno prodotte.
Solo poche settimane fa il telescopio James Webb ha catturato una delle immagini più forti e impressionanti di sempre, poi diffusa dalla stessa NASA.
Si tratta di una porzione di un “campo profondo” dell’universo, un lasso di spazio-tempo risalente a più di tredici miliardi di anni luce fa.

Di fronte ad “Unknow Unknows” siamo sopraffatti da orgoglio e meraviglia.
Come quando abbiamo appreso della notizia di questa fotografia, anche visitando la 23ª Esposizione Internazionale siamo governati da reazioni emotive ambivalenti.
Non possiamo che celebrare l’ingegno umano, la sua capacità di spingersi sempre oltre come quella di arrivare ad indagare territori ignoti sconfinati.
Dall’altro lato sembra anzi è impossibile ‘limitare’ un sapere così grande in una sola foto.
Tutto quello che è al di fuori di noi non può essere ‘ingabbiato’ in una sola superficie bidimensionale.
Anche per questo tutte le macro-aree della mostra si trovano costantemente in questo limbo tra conoscenza e ignoto, particolare e universale.
Per esempio, quando parliamo di forza di gravità, possiamo sia intendere sia la forza fisica di coesione planetaria sia, su un piano più simbolico, la capacità della materia di aggregarsi e organizzarsi spontaneamente in una molteplicità di forme.
La seconda sezione invece verte sull’esperienza dell’esplorazione dello spazio.
In questo caso il tema coinvolge una molteplicità di organismi molto diversi dagli esseri umani, modelli che mettono alla prova le nostre possibilità di sopravvivenza al di fuori dell’ambiente terrestre.
Infine, ci si interroga sul ‘sapere’, il sapere tecno-scientifico contemporaneo, il ‘sapere-potere’ – definizione del filosofo Michel Foucault.
Il nostro sguardo non potrà mai considerarsi neutrale, né rinunciare alla propria natura schiava della rappresentazione.

Il postumano acquisisce fascino ed alimenta i timori.
Quello che verrà non si può conoscere.
Mentre l’uomo si avvia verso un percorso di non ritorno – agganciandoci al tema non poco attuale del cambiamento climatico – gli artisti presenti in mostra danno forma e spazio ad opere sublimi, opere che con poco riescono a dire tantissimo.
I sogni un po’ ingenui di dominio tecnologico, la costante necessità di confrontare il nostro essere umani a essere infinitamente piccoli o grandi, l’ambizione di colonizzare spazi che ancora non abbiamo neanche visto: l’uomo è padrone schiavo di sé stesso.
A volte veniamo superati dalle nostre stesse invenzioni.
Il nostro futuro continua a diramarsi ogni ora, minuto, secondo che passa, mentre lo rincorriamo in una corsa estenuante tanto quanto ricca di bellissime sorprese.
Ecco perché il messaggio più radicale e forse piu prezioso della mostra può essere quello veicolato da una roccia marziana dell’artista Nonhuman Nonsense.
Facendosi beffe dei suoi colonizzatori umani, la roccia ricorda che siamo soltanto “sassi che hanno paura di morire”. “Se pensate di sapere già cosa c’è là fuori”, dichiara, “vi perderete molto di quello che c’è”.
Grandi nomi della storia dell’arte ci accompagnano in questo immenso viaggio: mostra imperdibile!