Paris Fashion Week: l’inverno dark e borghese della moda à la Parisienne
Cala il sipario anche sulla Paris Fashion Week e si concludono, almeno fino al prossimo giugno, quasi due mesi ininterrotti di sfilate e presentazioni.
Negli ultimi giorni sulle passerelle parigine si sono alternati i più grandi nomi del panorama fashion mondiale, ma anche giovani promesse, debutti e addii.
Il calendario della Ville Lumière ha visto il ritorno di Coperni, mentre il debutto più atteso è stato quello di Felipe Oliveira Baptista, ex direttore creativo di Lacoste, al timone stilistico di Kenzo al posto di Carol Lim e Humberto Leon.
Per la griffe, il designer ha portato in scena una collezione fatta di cappotti reversibili, parka hi-tech e stampe camouflage.
Tra gli assenti Courrèges, che a gennaio ha optato per una presentazione durante la settimana dedicata all’uomo, Manish Arora e sei designer cinesi frenati dalla situazione coronavirus.
Ad aprire la prima giornata della Paris Fashion Week è stata Marine Serre, seguita dagli show di Dior e Saint Laurent.
Un potente inno al femminismo il primo, con il direttore creativo Maria Grazia Chiuri che ha proposto poncho dai motivi tartan, denim e gonne frangiate, ribelle e a tratti fetish il secondo, con Anthony Vaccarello che esplora ancora una volta il lato dark della maison tra latex, cuissardes altissimi e body zippati.

Continua la rilettura dell’heritage stilistico di Lanvin da parte di Bruno Sialelli, che pensa a signore avvolte in cappotti doppiopetto con colli di volpe, minidress impalpabili e raffinati completi in pelle dalle linee pulite.
All’opposto, l’autunno-inverno 2020/21 di Mugler propone cappotti in cuoio squadrati sopra body trasparenti e top minimalisti, completi maculati e audaci effetti vedo-non-vedo.

Per Maison Margiela, invece, John Galliano punta su contaminazioni tra il mondo della campagna inglese e sperimentazioni d’atelier strizzando l’occhio allo stile camp.
Dries Van Noten gioca con un glamour notturno e misterioso mescolando punk, tailoring maschile e velluti dalle tinte accese.
Per il suo défilé d’addio da Rochas, Alessandro Dell’Acqua manda in scena un crescendo tra raffinatezza francese, animo italiano e tensione couture.
L’inverno Chloé firmato da Natacha Ramsay-Levi non perde invece il suo spirito hippy, un po’ nomade e un po’ anni ’70, fatto di abiti scamiciati, dettagli etnici e pantaloni a vita alta.
Julien Dossena immagina invece per Paco Rabanne una serie di donne-eroine tra uniformi military e abiti floreali.
Esagera come sempre Rick Owens, sulla cui passerella tutto è extra, dalle maniche allungate alle spalline delle giacche, appuntite e protese verso l’alto.
Non sbaglia un colpo Virgil Abloh, che con il suo marchio Off-White allestisce un’officina pop in cui l’outerwear più tecnico si mixa a dettagli femminili come balze e tulle.

Continua a conquistare il favore del pubblico con la sua femminilità cool anche Isabel Marant, mentre per la collezione Loewe lo stilista Jonathan Anderson gioca con volumi, cut out e nuovi tipi di silhouette dalle linee regali e scultoree.

Un po’ borghese, un po’ edonista, un po’ military.
La donna Balmain secondo Olivier Rousteing proviene dall’upper class, ma possiede un tratto forte e indipendente.
Hedi Slimane crea invece per Celine una serie di citazioni bourgeois tra ricami di cristalli, cappe, denim e bluse di seta.

Porta avanti la sua battaglia green Andreas Kronthaler per Vivienne Westwood, tra cotoni biologici e accessori riciclati.
La regina della sostenibilità si conferma Stella McCartney che, oltre ad aver eliminato completamente la pelle dalle sue collezioni, svela shearling animal free, silhouette scultoree e abiti dai morbidi drappeggi.
Parigine nell’anima sono le ragazze di Elie Saab e Giambattista Valli, raffinate e un po’ maliziose, mentre Hermès mostra la sua vena artistica grazie a Nadège Vanhee-Cybulski, che gioca con il bianco puro e i colori primari.

Futurismo e avanguardia si confermano le parole d’ordine della visione di Rei Kawakubo per la sua label Comme des Garçons e di Satoshi Kondo per Issey Miyake.
Un futurismo potentissimo, ai limiti del cinematografico, pervade anche la collezione Balenciaga di Demna Gvasalia che continua a esplorare volumi over e tendenze sporty.

Da Valentino, Pierpaolo Piccioli mantiene vivo il dialogo sull’inclusività con capi sartoriali e cross-gender.
Givenchy porta sotto i riflettori le eroine retrò di Claire Waight Keller, che reimmagina una Nouvelle Vague fortemente grafica.
A dieci anni dalla scomparsa di Alexander McQueen, la sua erede Sarah Burton pensa una collezione dominata da cuori e richiami al folklore gallese.

Sfilano ancora Altuzarra, Sacai, Ann Demeulemeester, Guy Laroche, Lemaire, Nina Ricci, Olivier Theyskens, Noir Kei Ninomiya, Thom Browne, Yohji Yamamoto, Junya Watanabe, Haider Ackermann e Y/Project.
La Paris Fashion Week si chiude con le proposte di Chanel firmate Virginie Viard, che racchiudono i codici stilistici della maison tra tweed, black&white e doppiopetto (ma con un twist vagamente rock), con le audaci mesdemoiselles di Miu Miu e con le biker di Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton, che strizzano l’occhio al mondo sartoriale.

