Per la maggior parte delle persone il mese di gennaio corrisponde all’inizio di un anno nuovo.
Trascorsi Natale, Capodanno e l’Epifania, al rientro dalle festività si riprende – un po’ appesantiti, ma riposati – a lavorare gradualmente con i soliti ritmi.
Per i professionisti della moda, invece, l’arrivo di gennaio segna l’inizio di un tour de force di ben due mesi che comincia con la London Fashion Week Men’s e termina nei primi giorni di marzo con la settimana della moda parigina dedicata alla donna.
Nel mezzo, un susseguirsi quasi ininterrotto di sfilate, presentazioni di collezioni ed eventi distribuiti su quattro capitali fashion globali (New York, Londra, Milano e Parigi), una maxi fiera internazionale (Pitti Uomo a Firenze) e il sogno dell’alta moda e dell’haute joaillerie.
Haute couture di scena proprio in questi giorni nella Ville Lumière a intervallare, con le sue creazioni per l’estate 2020, le sfilate maschili appena concluse e le prossime settimane dedicate alla donna.
Creazioni per pochi – pochissimi al mondo – quelle dell’alta moda.
Pezzi unici che richiedono in molti casi centinaia di ore di manodopera di sarte esperte che danno vita a capolavori a metà tra capi d’abbigliamento e disegni architettonici.
Scultorei, tridimensionali, complessi e preziosissimi.
In breve, il sogno della moda nella sua massima espressione.
La prima giornata, lunedì scorso, è stata aperta dagli show di Schiaparelli, Ulyana Sergeenko, Iris Van Herpen, Christian Dior, Ralph&Russo, Giambattista Valli e Azzaro Couture.
Martedì è stato il turno di Chanel, Alexis Mabille, Stéphane Rolland, Alexandre Vauthier, Giorgio Armani Privé e Givenchy.
Il terzo giorno dell’alta moda è proseguito con i défilé di Maison Margiela, Elie Saab, Viktor&Rolf, Zuhair Murad, Valentino e Jean-Paul Gaultier in chiusura, che ha festeggiato 50 anni di carriera con la sua ultima sfilata couture.
L’enfant terrible della moda ha tuttavia annunciato di avere in cantiere un nuovo progetto, che verrà rivelato prossimamente…
La scorsa settimana a dettare le ultime tendenze maschili per l’autunno-inverno 2020/21 sono state invece le 53 maison nel calendario della Paris Fashion Week Men’s.
Da JW Anderson e Y/Project – passando per il debutto in città di Craig Green e il ritorno co-ed di Jacquemus dopo la parentesi provenzale – fino a Lanvin e Paul Smith, sulle passerelle della capitale francese si sono alternate collezioni le cui parole d’ordine sono eleganza informale e a-gender.
Da Balmain, Hermès e Dior Homme la classicità trova espressione nelle nuance chiare del beige, della terra, dell’avorio e del grigio perla, tra biker jacket, pantaloni sartoriali, lunghi cappotti e morbida maglieria.
Over sono i volumi di Vetements, mentre per Comme des Garçons Homme Plus la stilista Rei Kawakubo si concentra come di consueto sul mix and match di stampe multicolori, in un patchwork di giacche dalle stampe animalier a contrasto con motivi gessati, quadretti, tartan e strisce.
Tonalità shocking anche per i taglienti suits di Kris Van Assche per Berluti, super skinny e dalle spalle rigide, alternati a completi interamente in pelle e capispalla dai motivi check.
Stampe fantasia e motivi classici, sebbene dall’allure molto rilassata, popolano le collezioni di Junya Watanabe e Dries Van Noten, mentre Yohji Yamamoto punta su toni dark e coat dalle maxi lunghezze.
Il velluto colorato a coste è protagonista assoluto nella stagione di Homme Plissé Issey Miyake, mentre con Louis Vuitton il direttore creativo Virgil Abloh introduce in un’atmosfera surrealista il completo sartoriale rivisitato con maxi rouches su maniche e colli.
È invece spavaldo e un po’ dandy l’uomo Givenchy, tra cappelli alla texana, pesanti stivali dalla punta squadrata e tailoring anni Settanta mixato con audaci capi in pelle.
Provoca Rick Owens, ispirandosi con le sue tute in maglia ai completi di scena di David Bowie, in contrapposizione all’essenzialità black and white di Valentino.
Infine, il menswear di Ann Demeulemeester si ispira al balletto «Pomeriggio di un Fauno», mentre Jonathan Anderson per Loewe rivisita attraverso lo sguardo dell’infanzia la couture degli anni ’50.