Qualche mese fa è uscito su Artribune un articolo molto profondo sull’artista Carmela De Falco.

Questa autrice è stata scelta per la rubrica “Studio Visit” ed é stata intervistata da Saverio Verini.

Torniamo a parlarne oggi per la straordinaria attualità dell’articolo e dell’opera di questa artista, nata nel 1994 a Napoli, dove vive pur avendo viaggiato il mondo.

Carmela De Falco, "Pop-corn and one corn", 2020 | Foto tratta dal volume di Artribune ©Alice Caracciolo
Carmela De Falco, “Pop-corn and one corn”, 2020 | Foto tratta dal volume di Artribune ©Alice Caracciolo

Non deve essere facile essere artist* oggi.

“Non dev’essere facile per un artista, oggi, fare i conti con un contesto storico che sembra assecondare atteggiamenti di sfiducia e rassegnazione.

Emergenza climatica, conflitti tra Paesi, crisi delle democrazie occidentali, un sistema economico che non appare in grado di offrire stabilità: sono alcuni dei grandi temi che hanno contribuito a generare un clima diffuso di decadenza e collasso.”

Inizia con queste parole l’intervista a Carmela De Falco di Saverio Verini.

Eppure, nell’opera dell’autrice tutto sembra distaccarsi poeticamente da questi scenari.

La serie di opere prodotte é caratterizzata dalla ricorrenza di elementi di formato ridotto.

Sembrano quasi impercettibili e in questo ricordano profondamente gli stessi elementi che caratterizzano la nostra quotidianità.

Spesso ci dimentichiamo o diamo per scontato di essere fatti di gesti, parole, oggetti, luoghi, persone.

Ecco allora che Carmela De Falco osserva tutto “ciò che è trascurabile, ciò a cui normalmente non viene data importanza, qualcosa che assorbiamo inconsciamente e che abbiamo tacitamente accettato.”

Carmela De Falco, "Untitled (an always open door) n.1, 2021 | Foto tratta dal volume di Artribune ©Francesco Bondi
Carmela De Falco, “Untitled (an always open door) n.1, 2021 | Foto tratta dal volume di Artribune ©Francesco Bondi

Le opere di Carmela De Falco sono pervase da una vitalità poetica.

Al contrario di coloro che dipingono atmosfere di “fine mondo”, quest’artista si allontana da qualsiasi postura distaccata o superficialmente ottimista.

La sua ricerca é – come scrive Saverio Verini – formalmente solida, é fatta di tensioni sottili, di presenze impalpabili eppure incisive.

In molte produzioni dei suoi coetanei, la realtà inibisce la capacità di immaginare.

Carmela de Falco invece trasforma gli automatismi e i tic che accompagnano la nostra quotidianità.

Il potenziale espressivo degli oggetti che maneggiamo quasi con noncuranza viene portato all’estremo: vengono così trasfigurati in monumenti interstiziali e, al tempo stesso, magnetici.

Fili di nylon, fermaporte, monete di piccolo – con i loro spostamenti millimetrici – generano tensioni in grado di far vibrare lo spazio in cui l’opera si inserisce.

 

“Mi piace pensare che le cose minuscole e quelle enormi abbiano un legame.”

L’uomo é stato capace di dimostrare, in tutte le sue materie di studio, da quelle più scientifiche a quelle meno, l’intrinseco legame che unisce tutti gli elementi che conosciamo.

Dallo spazio sconfinato alle particelle che compongono i nostri organismi: tutto é interconnesso, anche e soprattutto quando non siamo in grado di vederlo.

Carmela De Falco vuole “spingere l’osservatore ad avere una relazione diversa con lo spazio e il tempo, più lenta, oculata.

Prendiamo il caso dell’opera “Pop-corn and one corn”.

Tra migliaia di pop-corn, esiste e resiste un chicco di mais non scoppiato.

In “clock n.1” un orologio dal vetro opaco lascia intravedere un leggero spostamento delle lancette, invitando a ripensare i propri ritmi e a non legarli a un fare “performante”.

E ancora, nell’opera “Una linea quasi invisibile divide lo spazio” un filo di nylon, passando da una parete all’altra della stanza, altera silenziosamente la fisicità di quel luogo.

 

Carmela De Falco va oltre.

Tornando all’opera “Pop-corn and one corn”, il chicco di mais non scoppiato può diventare un’immagine di possibilità e resistenza.

E già qui emerge la sconfinata lista di possibilità vacche queste opere contingenti possono avere con lo spazio e l’individuo.

In “Testa o croce” invece l’artista sceglie di ripiegare “una moneta su se stessa, quasi a piegare una sorte affidata alla casualità del lancio”.

Si ribalta così un apparente destino ostile, si spostano i punti di vista per avere una sempre nuova visione propositiva.

Con fili e pop corn vengono “raddrizzate” le storture del mondo.

Non solo scultura però.

Il mondo é altamente sfaccettato ed é per questo che Carmela De Falco utilizza linguaggi differenti: le installazioni sono affiancate da performance e sonoro.

In tutte le pratiche l’artista prevede di “abitare”ciò con cui entro in contatto, instaurandoci una relazione lenta.

Ci si muove contrariamente ad un destino che sembra essere piegato ad una società che ci abbia abituati a uno stile di vita contratto: mercificazione e velocità di logoramento consumano in fretta il tempo, lo spazio e le relazioni.

Carmela De Falco, "Gesture Repetition", 2022 | Foto tratta dal volume di Artribune
Carmela De Falco, “Gesture Repetition”, 2022 | Foto tratta dal volume di Artribune

Nuove sfide per un nuovo mondo

La stessa precarietà che lo spettatore può percepire dalle opere di Carmela De Falco, contraddistingue l’essere artista oggi.

Doppi lavori come progetti troppo importanti da sostenere fisicamente ed economicamente: sono queste solo due delle tante condizioni da considerare, almeno in Italia.

Lavorare attraverso interventi minimi può far pensare che le opere siano meno “accattivanti”, proprio perché necessitano maggiore tempo e attenzione – azioni che facciamo sempre più fatica a sostenere – per essere comprese.

Vero anche che, “quando si hanno poche risorse, si attivano altre energie che, a volte, possono portare a dei risultati inaspettati.”

Abbiamo ancora tanto da imparare e Carmela De Falco ce lo insegna a modo suo.