Questo articolo è stato aggiornato il
Buongiorno
Il magazine di arredamento e interior design FillYourHomeWithLove sta crescendo, e amo tantissimo la possibilità di raccontarvi alcuni criteri teorici e pratici che fondono arte e design.
Si tratta di connubi che stupiscono: oggetti che assumono valori culturali su livelli altissimi raramente ripetibili.
Oggi approfondiamo la storia di un oggetto eterno: vi parlo della poltrona di Proust di Mendini.
Chi è Alessandro Mendini?
Per spiegare quanto sia significativo questo oggetto è bene introdurre, anche se brevemente, la personalità del suo creatore: l’architetto e designer Alessandro Mendini, scomparso a febbraio di questo anno.
Nel 1987 affermava:
«Per quanto mi riguarda non è il progetto che mi interessa: io uso la realtà progettuale non coerentemente al suo proprio fine, ma al fine di svolgere il mio naturale atto vitale che è quello di produrre immagini» (Alessandro Mendini, 1987)
Egli, architetto laureato al Policlinico di Milano nel 1959, non si limitò a dirigere riviste, progettare oggetti che rimarranno nella storia, o a erigere grandi opere pubbliche in tutto il mondo.
Non si è limitato a ricevere ben tre volte nella sua carriera il premio Compasso d’Oro (nel 1979, 1981, 2014), considerato il più alto e ambito riconoscimento internazionale in ambito di disegno industriale.
Egli ha una capacità che accomuna i più grandi artisti e i più valorosi designer.
Egli comunica aldilà delle forme e degli scopi adibiti all’oggetto, senza prevaricarne l’importanza di utilizzo.
Crea con la capacità di imprimere nei progetti valori semantici e semiotici che “parlano” e che diventano simboli.
Perché una poltrona riesce ad esprimere sensazioni legate allo stile letterario di Marcel Proust?
Con questo articolo vorrei spiegare perché questa poltrona è una magica sintesi di arte, design e letteratura.
In primo luogo, vi svelo una curiosità: Mendini aveva in testa, già nel 1976, un tessuto che racchiudesse in sé le suggestioni letterarie legate all’opera di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto” scritto intorno al 1909-1922.
È il caso che lo aiuta a materializzare il suo intento artistico.
Durante un viaggio, infatti, il suo sguardo si posa su una poltrona che, in un certo senso, scimmiottava fiera un finto stile Rococò.
Mendini vi lesse la rassegnazione, la rilassatezza e rimuginazione proustiana dei primi libri della sua lunghissima opera.

Il sole di Signac per completare il tutto
A questo punto mancava solo la “suggestione” visiva e cromatica, che aveva già presagito pensando al tessuto del 1976.
Mendini decide di attingere alla visione “divisionista” di Paul Signac, nello specifico di una sua rappresentazione di un prato esposto al sole.
Insieme a George Seraut e Odillon redon, fonda la Societé des artistes indépendants nel 1884.
Tratto caratteristico del loro proposito artistico era appunto la “divisione” del colori sulla tela, che però, all’occhio, appaiono come campiture uniformi. Il tutto studiato (e messo in pratica) dai trattati di Chevreul sulla percezione ottica dei colori.

Cosa dire, se non che è perfettamente intuibile e logico il successo di questo progetto? Dal 1978, anno in cui la poltrona Proust di Mendini è stata presentata a Palazzo Diamanti di Ferrara (in occasione della mostra “Incontri ravvicinati di architettura”), è ancora un rincorrersi di interpretazioni. E naturalmente l’avvicendarsi produttivo continua ancora adesso ed è estremamente attuale.
Voi cosa gradite di più di questa icona di arte e design, apprezzata in tutto il mondo?
Crediti immagine in evidenza: Di THOR – Paris 2008, CC BY 2.0 – Wikipedia – La poltrona è ambientata nel Museo delle arti decorative di Parigi.