L’uomo ha sempre ambito a vedere il mondo dall’alto, dal ‘di fuori’, e l’ha dimostrato con l’Aeropittura.
C’è un movimento che ha sperimentato veramente per primo l’ebrezza di volare: il Futurismo.
Le opere di cui parleremo oggi, che potrete vedere dal 13 ottobre presso la galleria Bottegantica di Milano, sono rare ma soprattutto veramente innovative.

L’arte dell’Aeropittura.
È evidente l’origine del termine “aeropittura”: stiamo parlando di quella declinazione pittorica del futurismo che si sviluppa intorno all’aereo.
L’aereo rappresenta il simbolo della libertà, propone un modo nuovo di rappresentare le cose.
Nasce già negli anni dieci del ‘900, ma si afferma negli anni successivi alla prima guerra mondiale.
Il suo periodo di massimo sviluppo si posiziona sicuramente tra le due guerre: dagli anni Venti ai primi anni Quaranta del Novecento.
Vedere il mondo – le città che accelerano sempre di più i ritmi della vita – dall’alto fa comprendere ulteriormente quanto la realtà sia frammentata.
La figura del pilota, colui che sfreccia nel cielo, diventa un nuovo punto prospettico.
Il Futurismo frammenta ed è frammentato.
Il movimento artistico detto “Futurismo” frammenta la realtà ma soprattutto è composto da altrettanti correnti diverse fra loro.
La galleria Bettagantica di Milano si è specializzata negli anni attorno a questa realtà artistica.
Ha dedicato importanti mostre monografiche anche a personalità italiane come Giacomo Balla e Boccioni.
Questa volta ha chiamato a curare la mostra Fabio Benzi, tra i massimi esperti del Futurismo.
Come sempre, le varie correnti si influenzano tra loro e si scambiano diverse informazioni.
Tutta la rassegna pensata dalla galleria sul Futurismo parte però da un grande tema: la partecipazione dei futuristi alle esposizioni ufficiali del periodo, nonché le Biennali Internazionali d’Arte della città di Venezia (1926-1942) e le Quadriennali d’Arte Nazionale di Roma (1931-1943).
Attorno a questi due importantissimi momenti di scambio, si apre il dialogo tra realtà artistiche e scuole di pensiero.

Nel 1929 viene pubblicato il Manifesto dell’Aeropittura Futurista.
Ma partiamo dal principio.
I due appuntamenti internazionali citati sopra, le Biennali Internazionali d’Arte della città di Venezia e le Quadriennali d’Arte Nazionale di Roma, sono due occasioni di grande visibilità per gli artisti stessi.
Il Futurismo si è ormai aperto al mondo e Filippo Tommaso Marinetti, alla guida del movimento, cerca di assicurare un riconoscimento ufficiale al Futurismo italiano e una sua definitiva consacrazione.
Nel 1926, Marinetti riesce ad ottenere l’ingresso dei futuristi alla Biennale di Venezia di quell’anno.
Predomina in questa edizione l’arte meccanica futurista che s’ispira al linguaggio – appunto – della meccanica.
Si parla di un’arte basata sulla solidità costruttiva dei volumi e delle linee.
Già da questa edizione possiamo ammirare alcune opere che anticipano il crescente interesse per il volo.
Ricordiamo il dipinto “Prospettive di volo” di Fedele Azari, pittore e aviatore – di cui Fortunato Depero nel 1922 realizza un iconico ritratto, presente in mostra.
Dal 1926 al 1929 si coglie il progressivo emergere di una linea di ricerca attorno all’Aeropittura.
Qui arriviamo al Manifesto, che racchiude ed esprime fin dalla prima bozza i principi della corrente.
Macchine e Arte convivono nel Futurismo.
E cos’è l’aereo se non una macchina geniale?
Cos’è l’aereo se non uno strumento per superare i propri limiti?
Come detto poco fa, i futuristi amano la meccanica e dividere il mondo in componenti.
Questa tendenza è ben rappresentata in mostra dal bassorilievo “Derivazione plastica da Bottiglie, Bicchiere, Ambiente” (1926) di Ivo Pannaggi, firmatario con Enrico Prampolini e Vinicio Paladini de “L’arte meccanica. Manifesto Futurista” (1922).
Il succedersi delle partecipazioni futuriste alle Biennali e alle Quadriennali permette di cogliere l’evoluzione delle ricerche aeropittoriche.
Figura chiave è Enrico Prampolini, attorno al quale si sviluppa una corrente pittorica più lirica.
Originali proiezioni cosmiche vanno alla ricerca di una “nuova spiritualità extra-terrestre”.
Accanto alla componente cosmica, vi è l’altra declinazione dell’aeropittura.
Si ricerca anche una resa verosimile della realtà, una resa che possa celebrare le conquiste tecniche nel campo aviatorio.
In mostra è stata scelta una selezione di una trentina di opere, pittoriche e scultoree.
Abbiamo la scultura di Thayaht, “S.55 Architettonico” (1935-1936), che celebra le forme geometriche e puntuali dell’idrovolante sul quale Italo Balbo compì la sua trasvolata atlantica tra il dicembre 1930 e il gennaio 1931.
Ci sono le dinamiche vedute dall’alto di Alfredo Gauro Ambrosi, come “Virata sull’Arena di Verona” (1932), o di Tato, come “Paesaggio aereo” (1932), o ancora le acrobazie aeree di Tullio Crali in “Aerocaccia I (Duello di caccia)” (1936).
Chiudono cronologicamente il percorso alcuni dipinti a soggetto bellico relativi alle conquiste coloniali in Africa.
Troviamo opere di Cesare Andreoni e Renato di Bosso, esposte alle cosiddette “Biennali di guerra” (1940-1942).
Ci troviamo nel periodo in cui i legami sempre più stringenti con il Regime fascista producono opere di carattere più propagandistico e di esaltazione bellicistica.
La politica influenza come sempre l’arte!

Voler vedere il mondo dall’alto è avanguardia pura.
L’Aeropittura non è altro che avanguardia nell’avanguardia.
Meccanica e arte insieme hanno sempre sconvolto il mondo!